Al Ned-Caffè, ci siamo regalati un’ora di dialogo con il Procuratore capo di Catanzaro che ringraziamo così come ringraziamo la scorta e la sua famiglia.
La mafia raccontata attraverso il libro “non chiamateli eroi” scritto a 4 mani da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso.
Immagini e storie di persone che credevano in valori quali la giustizia e l’onestà e hanno pagato con la vita per questo.
Parlare di legalità nel nostro paese anzi no in Europa, non basta mai.
L’illegalità uccide i sogni, uccide il lavoro, uccide la possibilità di essere persone che vivono e respirano a pieni polmoni.
La violenza uccide la speranza di imprendere, di studiare, di crescere e di creare e per questo non bisogna sottostare alla violenza.
Non smettere di studiare, non smettere di provarci e di credere che un sistema diverso sia possibile.
Non servono atti eroici, serve la quotidianità della coscienza.
Non serve rinchiudersi a guscio nei propri interessi e affetti nucleari, non serve badare solo alla propria casa perché a furia di non alzare lo sguardo potresti non avere più la strada per arrivare a casa tua.
Serve alzare lo sguardo e occuparsi dell’altro, della propria comunità, della propria terra nel rispetto di se stessi e degli altri. Serve impegno sociale e partecipazione.
Questo, in estrema sintesi, un’ora e più di colloquio con il procuratore Gratteri che, stanco, in maniche di camicia, dopo una giornata impegnata e intensa come le ha da 30 anni, da quando cioè decise di non lasciare la Calabria e di combattere la criminalità, si è collegato con noi per parlare ancora e ancora e ancora di legalità attraverso i personaggi del suo ultimo libro.
Ciascuno di noi, di Ned, ha adottato un personaggio del libro e abbiamo sollecitato il procuratore su diversi temi. Tantissimi sono stati gli spunti, tanto che come ha scherzato Gratteri “ci vorrebbero 3 giorni” per parlane a fondo. Ma quando un libro scatena tutte queste riflessioni, vuol dire che è un buon libro.
Dalla figura di Falcone, il richiamo all’Europa a non abbassare la guardia. C’è tantissimo da fare siamo “quasi all’anno zero” e il richiamo all’Italia a riprendere il ruolo di leader politico e tecnico sul piano europeo. Siamo quelli con più esperienza e con una delle migliori forze di investigazione mondiale e abbiamo la legislazione antimafia più evoluta del mondo, non è ammesso nessun gioco al ribasso, nessun cedimento.
Dalle figure dei piccoli ragazzi vittime e testimoni di mafia, il richiamo alla scuola e agli insegnanti a fare ancora di più la propria parte nel costruire una coscienza comune della legalità.
Ai giovani, il monito a non farsi abbagliare dalle sirene della società iper-consumistica dell’avere ma di investire nello studio e crearsi un futuro libero da condizionamenti; allo Stato di investire in istruzione valorizzando gli insegnanti e rendendo il tempo scolastico un tempo pieno e denso.
Come diceva Bufalino “la mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari”.
E il femminile non era un caso per Bufalino e le donne nella mafia e contro la mafia giocano un ruolo importante.
Dalla figura di Lea Garofalo, l’appello alle donne di non sottostare alla violenza “quando un uomo vi dà il primo schiaffo, il rapporto è finito”! “non è amore è possesso, come per una macchina”.
E poi ancora un monito alle donne vittime di violenza che hanno il coraggio di denunciare “non andate all’ultimo appuntamento per chiarire, non c’è niente da chiarire, è già tutto chiaro”.
Questo fu l’errore commesso da Lea Garofalo, la cui storia tragica e bellissima deve essere raccontata ancora e sempre come monito per le donne del presente e del futuro.
Le donne e la mafia, una relazione che sta cambiando. Il numero delle donne impegnate direttamente negli affari sta aumentando, le donne sono sempre più presenti nel traffico di droga e nel riscuotere il pizzo quando i maschi sono in galera o latitanti. Non hanno ruoli apicali “perché la ndrangheta è maschilista”
– pure quella!!!!! – ma sopperiscono laddove i maschi languono.
E poi, il procuratore ha però specificato, le donne si pentono e diventano collaboratrici di giustizia per amore. Non fanno tanti calcoli, lo fanno per amore soprattutto verso i figli per dare loro un futuro diverso, migliore e libero dalla violenza, proprio come fece Lea Garofalo.
Dalla figura di Peppino Impastato, l’analisi dell’uso e del ruolo dei mezzi di comunicazione. “Oggi Peppino sarebbe un piccolo influencer” e non tanto piccolo aggiungiamo noi.
I mezzi di comunicazione e i social in particolare, hanno una potenza di impatto sui comportamenti dei più giovani enorme, da qui, il richiamo del Procuratore alla responsabilità della comunicazione, perché come sappiamo: da un grande potere deriva una grande responsabilità.
Dalla figura di Ambrosoli, il richiamo all’onestà ma anche a stare allerta e a non sottovalutare mai la violenza mafiosa. Ambrosoli “sapeva di essere esposto ma non pensava sarebbero arrivati ad ucciderlo contrariamente a Borsellino, che dopo l’attentato a Falcone ne era perfettamente conscio e da qui la sua fretta di fare presto”.
La stessa sensazione di precarietà che emerge dal racconto della figura del generale Dalla Chiesa che arriva finanche a spostare la sua scrivania dalla finestra del suo ufficio a Palermo, perché non si sente la sicuro. Oggi siamo più attenti e anche il procuratore lo è.
Infine, dalla figura di Rocco Gatto, il giovanissimo mugnaio calabrese, l’insegnamento a non abbassare la testa e a denunciare ma anche a partecipare alla vita sociale e politica ad impegnarsi e credere nelle istituzioni.
In un’ora, assieme al Procuratore, abbiamo fatto un giro sulla macchina del tempo di quasi un secolo di racconti di storie di lotta alla mafia.
Quando si legge il libro, da una parte si viene presi da una rabbia profonda perché siamo ancora a doverne parlare e perché abbiamo tutte queste persone morte che gridano giustizia ma dall’altra, le stesse testimonianze ci spronano ad andare avanti con la consapevolezza che ora più che mai non possiamo lasciare terreno scoperto, dobbiamo riprenderci lo spazio perduto, ne va della nostra libertà e, come diceva Gaber, la “la libertà è partecipazione”.
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